Medici di famiglia: la telemedicina può aiutare un settore in difficoltà?
La medicina generale rappresenta, come noto, una delle aree a maggiore criticità del Sistema sanitario nazionale. Il Pnrr punta sull’assistenza territoriale e il ruolo dei medici di medicina generale pare quindi destinato a trasformarsi per rispondere meglio alle esigenze dei cittadini. Ma siamo ancora in una fase precoce: tanti i nodi da risolvere, primo tra tutti la carenza di professionisti, conseguenza delle cattive programmazioni durante gli anni scorsi. Con la conseguenza che oggi molti cittadini sono o rischiano di essere senza un medico di riferimento.
In questo scenario la telemedicina e le innovazioni tecnologiche digitali, sempre più presenti nella vita di tutti, sarebbero a detta di alcuni una possibilità per migliorare la pratica quotidiana della medicina generale, garantendo tra l’altro una migliore organizzazione del lavoro e uno snellimento delle attività. Davvero sarà così?
Una crescita di interesse da parte dei medici
L’interesse da parte di osservatori, cittadini e medici stessi nei confronti della telemedicina è aumentato, complice naturalmente la pandemia. Secondo i dati dell’Osservatorio Sanità Digitale del Politecnico di Milano, pubblicati a maggio 2022, fino all’inizio del 2020 tale interesse era limitato, mentre con l’emergenza Covid la telemedicina ha guadagnato posizioni prioritarie nelle agende delle direzioni strategiche delle aziende sanitarie. «Durante la pandemia la telemedicina ha facilitato la collaborazione tra i professionisti e ha consentito di garantire continuità di cura e assistenza ai pazienti», si legge nella presentazione dei dati. Certo, nell’ultimo anno il suo utilizzo da parte dei medici è calato significativamente, pur assestandosi su percentuali di utilizzo raddoppiate rispetto a quelle precedenti alla pandemia: in particolare il 20 per cento dei medici di medicina generale ha affermato di aver utilizzato servizi di televisita durante l’ultimo anno, contro il 10 per cento circa del pre-pandemia. Del resto il 79 per cento dei medici di medicina generale nell’ultimo anno ha utilizzato app di messaggistica, come WhatsApp, per comunicare con il paziente. In fondo anche questa, seppur non tecnologicamente avanzata, è telemedicina.
Questione di tecnologie
Va però detto che ancora oggi gli strumenti digitali disponibili, come appunto WhatsApp, non vengono impiegati in modo corretto e consapevole: da un lato sono strumenti non adeguati in tema di sicurezza e privacy, non essendo realizzati appositamente per lo scambio di informazioni sensibili. «D’altro canto un utilizzo non appropriato di questi strumenti può impattare negativamente sulle attività lavorative dei professionisti coinvolti, da cui spesso i pazienti si aspettano risposte immediate», prosegue l’analisi. Ancora oggi stentano infatti a diffondersi strumenti tecnologici sicuri e dedicati all’attività professionale: solo un sanitario su tre utilizza infatti piattaforme di comunicazione dedicate e certificate, sebbene il 72 per cento dei medici di medicina generale esprima interesse in questo senso.
Il problema della carenza di personale
A prescindere dagli ostacoli tecnologici e normativi, la telemedicina può essere una risposta alle criticità espresse dai medici di famiglia italiani? La maggioranza dei medici intervistati afferma come essa sia un’aggiunta, in termini di tempo, alle attività tradizionali e non una soluzione per razionalizzare le agende. «Il problema degli eccessivi carichi di lavoro dei colleghi», spiega a Lami Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale e delle cure primarie, «non si risolve con la tecnologia. Il vero problema dei medici di medicina generale italiani è che lavorano da soli, a differenza di quanto capita all’estero: pochissimi possono contare su infermieri o segretari». La telemedicina sarà pertanto un’opportunità solo quando il lavoro quotidiano del medico potrà essere razionalizzato grazie all’affiancamento di personale di supporto. «Se il medico non riesce a dare riscontro ai suoi pazienti in tempi rapidi non è perché manca la telemedicina: semplicemente non ha nessuno che svolga al posto suo mansioni di cui è costretto a occuparsi direttamente». Insomma, la telemedicina non è la panacea di ogni male.
Quali tecnologie impiegare?
L’individuazione delle tecnologie che sono e saranno adottate per integrare la telemedicina nell’ambulatorio medico è un problema che va risolto con grande senso pratico: «Servono tecnologie in grado di semplificare il lavoro, rispondendo a esigenze reali. Non devono cioè essere strumenti di nicchia, ma tecnologie semplici come quelle usate da tutti, tutti i giorni». Non decolleranno quindi piattaforme estremamente complesse, difficili da capire. «Al contrario la telemedicina sarà tanto più sviluppata quanto più sarà stimolata dalle necessità reali, come è capitato con la pandemia», aggiunge Cricelli.
E i pazienti?
I dati dell’Osservatorio mostrano anche come accanto a un 50 per cento di medici e infermieri, anche l’80 per cento circa dei pazienti vorrebbero continuare a utilizzare la telemedicina in futuro. «In particolare cittadini e pazienti sono molto interessati alle app di messaggistica istantanea soprattutto per la rapidità con cui è possibile ricevere risposte dal medico rispetto a sintomi e problemi di salute», si legge nel report.
Il ricambio generazionale dei medici
C’è poi il tema generazionale: «La maggior parte dei medici di medicina generale oggi in attività è entrata in servizio tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta», dice Cricelli. «Si tratta di una popolazione che ha imparato a usare il computer in età adulta: sono professionisti che sanno usare mail, messaggistica e che hanno in ultimo imparato a usare il Fascicolo sanitario elettronico». Tuttavia sono persone non ancora ancora abituate alle innovazioni tecnologiche più recenti: è ovvio quindi una certa resistenza da parte di alcuni. Ora però siamo prossimi a un ricambio generazionale che porterà inevitabilmente a compimento l’aggiornamento tecnologico. Ovviamente serviranno anche interventi pratici: «Non bastano infatti strumenti tecnologici professionali e coerenti in termini di compliance normativa», si legge ancora nel report: «Occorre anche rivedere i processi di cura e sviluppare competenze in una logica non più emergenziale, ma sistematica».