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Digital health, dispositivi wearable, telemedicina: cosa pensano i pazienti?

da | Set 26, 2022

La sanità del futuro, per gli italiani, dovrà porre il paziente sempre più al centro: secondo un recente rapporto Censis, realizzato in collaborazione con Jannsen Italia e presentato lo scorso marzo, oltre il 94 per cento degli intervistati auspica una maggiore personalizzazione delle cure, mentre il 93 per cento si aspetta che i percorsi clinici siano modulati sulle esigenze personali di ciascuno. Digital health, telemedicina, tecnologie di monitoraggio indossabili, robotica sono temi di cui molto si parla e che potrebbero rispondere a questi bisogni. Poco però si dice delle opinioni, delle aspettative e delle paure che i pazienti stessi esprimono nei loro confronti.

La telemedicina sempre più popolare

I cittadini, rivelano sempre più sondaggi, mostrano una crescente propensione a svolgere un ruolo quanto più diretto e attivo nei processi di cura, a partire dalla relazione con il medico che si fa continuativa nel tempo. Lo vediamo con la telemedicina nelle sue diverse forme: come noto, la pandemia ha accelerato lo sviluppo della digitalizzazione, in particolare in merito alla possibilità di affiancare alla relazione fisica medico-paziente anche un’interazione digitale. Secondo la seconda edizione del report Outlook Salute Italia, voluto da Deloitte e condotta negli ultimi mesi del 2021 su un campione di oltre 3.800 connazionali, un italiano su due dichiara ad esempio di aver ricevuto nell’ultimo anno un referto medico via email, portali o altro, prenotato una prestazione sanitaria online e comunicato con il proprio medico tramite app o chat. Anche il Fascicolo sanitario elettronico è sempre più familiare, complice anche le oggettive difficoltà di relazione fisica con i medici durante gli ultimi anni: se nel 2019 il 23 per cento affermava di sapere di cosa si trattasse, questa percentuale è salita al 41 per cento nel 2021. Curiosamente, però, solo il 27 per cento ha dichiarato di sapere effettivamente in cosa consista la telemedicina, nonostante i pazienti già usufruiscono di alcune sue forme, come quelle descritte. 

Quali resistenze?

«Oggi l’interesse nei confronti della telemedicina dimostrato dagli italiani sembra rivolto soprattutto alla possibilità di accesso più agevole ai servizi sanitari, con minori spostamenti e riduzioni dei tempi», si legge nel report. Il 27 per cento ritiene infatti che, in qualche misura, ne farà sempre più ricorso in futuro: un dato sicuramente da non ignorare, ma certamente ancora piuttosto basso. Ci sono dunque resistenze? Forse sì, ma non quelle che ci si potrebbe aspettare: «Temi di privacy e sicurezza dei dati non hanno forte influenza nella scelta di utilizzare o meno questi servizi, così come eventuali valutazioni su una maggiore qualità del servizio». Fattori organizzativi e gestionali dei servizi, unitamente a una certa resistenza culturale, potrebbero spiegare un entusiasmo ancora tiepido da parte dei cittadini.

Wearable e tecnologie di monitoraggio della salute

Un altro ambito di innovazione a cui i cittadini sembrano essere interessati è quello delle tecnologie per il controllo della salute, anche da remoto. Strumenti collegati ad app per il monitoraggio cardiologico oppure della glicemia nei diabetici, braccialetti per la valutazione dei parametri vitali o degli stili di vita e smartwatch: tanto propone il mercato, e un certo entusiasmo non manca. Sempre il report Deloitte mostra come un italiano su tre dichiari di utilizzare strumenti di questo genere, dato che sale a uno su due se si considera chi svolge attività fisica assiduamente. Questa evidenza viene confermata anche da un’altra recente analisi di Deloitte a livello globale, che prevede per i prossimi anni una crescita significativa dei dispositivi indossabili in ambito consumer health e wellness: grazie all’ampliamento dell’offerta e alla crescente confidenza degli operatori sanitari con questi dispositivi, si stima che le consegne raggiungeranno i 440 milioni nel 2024.

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Diagnosi “fai da te”?

Ma in futuro si andrà anche oltre, con la possibilità di effettuare screening e persino alcune diagnosi tramite dispositivi da remoto: «È la do it yourself diagnosis, che consiste nel fare da soli tutto il possibile senza caricare il sistema sanitario inutilmente», spiega Salvo Leone, direttore generale di Amici Onlus, associazione dei pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali. «Ad esempio in campo dermatologico esistono già un paio di app che, tramite un processo di riconoscimento intelligente dell’immagine scattata con la fotocamera, sono in grado di individuare con precisione l’origine del problema dermatologico, alleggerendo del 90 per cento il carico di lavoro dello specialista». Ovviamente senza che questa prima diagnosi sostituisca in toto la validazione del medico.

Il medico non sarà mai sostituito dai device

Il problema legato ai device è però ancora il loro utilizzo limitato: «A oggi molti dispositivi sono ancora confinati al monitoraggio di alcune patologie particolarmente gravi, o a uso e consumo di chi se li può permettere economicamente. Ma in un prossimo futuro l’abbattimento dei costi di produzione e la maggiore facilità d’implementazione permetteranno di realizzare dispositivi per una più ampia gamma di patologie». Al netto degli aggiustamenti tecnologici necessari, l’introduzione di queste e altre tecnologie consentirà un alleggerimento del carico di lavoro delle strutture sanitarie, oltre che un’innegabile risparmio di tempo per i pazienti stessi. Ma non c’è forse una paura che tutto ciò porti a una disumanizzazione del rapporto con il clinico? «Non credo», prosegue Leone. «Sono convinto che se da una parte il medico porti con sé la sua indubbia formazione professionale e l’esperienza clinica acquisita con gli anni, i pazienti possano testimoniare in maniera altrettanto efficace la loro esperienza di vita, le loro motivazioni e una diversa prospettiva su esigenze e priorità». Non si tratta di contrapporsi al medico o tantomeno di sostituirlo nelle decisioni: si tratta piuttosto di costruire un rapporto di partenariato.

Il ruolo delle associazioni pazienti

Torniamo quindi al bisogno avvertito dai pazienti, ed espresso dai dati Censis citati in apertura, di acquisire un ruolo centrale nelle scelte inerenti la loro salute: in fondo è anche l’obiettivo delle stesse associazioni pazienti. «Se ignora la voce degli assistiti, la medicina non può raggiungere la sua massima espressione», aggiunge Leone. «Un modello di assistenza nuovo e più efficiente potrebbe nascere dall’unione dalla conoscenza medica, esperienza clinica e volontà e feedback del paziente, anche attraverso lo strumento digitale». È quanto sta già facendo la stessa Amici, che ha appena lanciato la nuova piattaforma digitale Amici WeCare dedicata ai soci e in grado di fornire servizi quali consulenze online di diversi specialisti. Ma non solo: «L’associazione ha attivato diversi accordi con partner di riferimento per erogare servizi aggiuntivi, quali sistemi indossabili di monitoraggio e gestione dello stress correlato alle malattie infiammatorie croniche intestinali».

Collaborazione tra medici e pazienti

Il cambiamento è in atto, ma sarà graduale: «La trasformazione comporta l’adeguamento dei sistemi sanitari e soprattutto un’evoluzione culturale, e pertanto si realizzerà su un periodo medio-lungo e procederà a macchia di leopardo», conclude Leone. Per questo sarà sempre più necessario che i pazienti siano coinvolti in tutte le fasi di sviluppo delle tecnologie digitali, ma anche che la classe medica caldeggi l’uso di quelle scientificamente validate: «Gli operatori sanitari devono comprenderne il valore ed essere in grado di rispondere ai timori che i pazienti possono nutrire».