Gli italiani e il Sistema sanitario nazionale: le opinioni dopo due anni di pandemia
Una relativa ma crescente fiducia degli italiani verso la sanità pubblica: in sintesi sembra questo il dato più stupefacente che emerge dall’ultimo Outlook Salute Italia, report annuale voluto da Deloitte e frutto di un’indagine condotta negli ultimi mesi del 2021 su un campione di oltre 3800 connazionali. L’indagine, che si propone di prendere il polso della salute degli italiani e della loro percezione del Sistema sanitario nazionale, mostra come a quest’ultimo venga generalmente riconosciuta la capacità di aver retto le pressioni prodotte dall’emergenza pandemica.
Il Ssn: amato e odiato
Certo non è tutto così roseo, e c’era da immaginarlo: se infatti complessivamente l’opinione è positiva, è anche vero che non mancano pareri estremamente negativi. In altre parole, sono pochi i giudizi neutri. Il che è chiaramente legato all’esperienza di due anni di Covid, che ha spinto sempre più persone a prestare attenzione alla qualità dei servizi sanitari: «In situazioni di difficoltà l’equilibrio del giudizio viene meno», precisa Marco Baroni, specialista in Malattie dell’apparato respiratorio e Medicina interna. «Le risposte a indagini come questa, positive o negative che siano, dipendono anche in gran parte dall’esperienza personale di ciascuno con il mondo sanitario».
Le aree più critiche e quelle “promosse”
Da questo dipende anche la diversa percezione che gli italiani hanno dei medici in termini di competenza e professionalità: «Registriamo in genere buone opinioni verso le aree di diagnostica e di terapia ad alto contenuto tecnologico», prosegue Baroni, «mentre tende a essere percepita come più problematica la gestione delle patologie complesse e multiorgano che richiedono un coinvolgimento multidisciplinare».
Del resto su temi così caldi come la salute un giudizio oggettivo da parte dei pazienti è pressoché impossibile, considerando i risvolti sociali che la gestione del Sistema sanitari nazionale porta con sé: «È un tema che peraltro si presta a facili strumentalizzazioni ideologiche e politiche. Per questo le valutazioni che emergono da questo tipo di indagini vanno prese con le pinze». Inoltre il concetto stesso di soddisfazione nei confronti del Sistema sanitario nazionale è di per sé di ampia interpretazione: «Essere soddisfatti dei servizi sanitari ricevuti può significare cose diverse a seconda che la domanda sia posta al Nord o al Sud, in un contesto socioculturale oppure in un altro».
La grande criticità della medicina territoriale
Al netto di queste valutazioni, va detto che i risultati del report Deloitte destano non poco stupore: nonostante le criticità emerse con la pandemia e l’ondata di insoddisfazione generale che ne è conseguita, la Sanità pubblica si porta a casa una piena sufficienza (6,6 è il punteggio medio rilevato dai questionari). Valutazioni particolarmente positive le hanno ottenute i servizi di emergenza, e dunque i pronto soccorso, e i medici di medicina generale.
«Ne sono particolarmente stupito», ammette Baroni: «sempre più spesso i pazienti vengono da noi specialisti lamentando di non aver avuto risposte esaustive da parte del medico di medicina generale». Sono molti gli assistiti che fanno fatica a mantenere un contatto diretto con questa figura: «Il medico di medicina generale dovrebbe essere un fondamentale trait d’union tra il territorio e la sanità ospedaliera». Una figura però in crisi, in un contesto di ristrettezza di fondi dedicati alla medicina territoriale: la conseguenza è anche un sovraccarico dei pronto soccorso, intasati di codici bianchi.
Divario geografico, divario sociale
Il giudizio più severo che emerge dall’indagine riguarda invece le liste di attesa per ricoveri, diagnostica e visite specialistiche in particolare nelle strutture ospedaliere del Nord (in primis, della Lombardia) che attraggono sempre più pazienti da altre parti del Paese. Del resto il divario Nord-Sud non cenna a ridursi, e l’indagine lo testimonia. Anzi, si alimenta quello tra le classi sociali: nelle fasce socio-economiche più basse si riscontra la maggiore percentuale di pazienti che, con la pandemia, hanno dovuto rinunciare più spesso a cure mediche per sé o per i propri familiari: il 40 per cento contro il 19 per cento della fascia più alta.
La pandemia poteva essere gestita meglio?
All’allungamento delle liste d’attesa ha contribuito ovviamente anche la pandemia e le criticità nella gestione dei pazienti Covid e non-Covid. Del resto anche secondo la recente indagine pan-europea Stada Health Report 2022 più di un terzo delle persone in Repubblica Ceca, Romania e Italia ha dichiarato di aver posticipato o annullato gli appuntamenti medici a causa della paura dei contagi.
Si sarebbe potuto fare diversamente? Certamente i percorsi dei pazienti Covid potevano essere gestiti meglio, evitando di bloccare la gestione ordinaria delle altre patologie, anche gravi. «Occorre però considerare che la pandemia ha mandato tutto il Paese in tilt», ammette Baroni: «inevitabile che anche medici e ospedali ne subissero il contraccolpo. Del resto il mondo moderno non era in alcun modo preparato all’ipotesi di una pandemia». Di fatto prima del 2019 un’emergenza di tipo infettivo sarebbe sembrata possibile solo nei Paesi in via di sviluppo.
Il vero vantaggio di un sistema universalistico
Infine una riflessione sulla specificità del nostro Sistema sanitario nazionale va fatta. Proprio il report Stada mostra come la fiducia dei cittadini del Vecchio continente nei confronti dei propri sistemi sanitari è molto più bassa di quella espressa dagli italiani: negli ultimi anni, la soddisfazione è diminuita infatti del 14 per cento, dal 78 per cento del 2020 al 64 nel 2022. La pandemia, forse, ha permesso agli italiani di comprendere quanto un sistema sanitario universalistico come il nostro sia innegabilmente, nonostante le evidenti e innegabili criticità, la migliore strategia per consentire a una nazione il maggiore benessere possibile.